VERSIONE INTEGRALE
I tuoi piedi nudi dentro al letto.
Il brivido, quando sfioravano i miei.
Il tuo respiro, le tue ciglia disordinate, tutti i tuoi nei.
È questo che mi manca di più.
E poi il tuo sorriso beffardo, la tua barba arruffata, le tue piccole nevrosi, la tenerezza quando mi chiedevi di fare la pace.
È questo che mi manca di più.
Perché non ho avuto il tempo di dirgli addio.
A Sara avevo spiegato che un principe deve dare il buon esempio. Che era arrivato l’esercito della Strega del mare e che tu eri il soldato migliore.
La tua voce al telefono all’inizio era sembrata normale.
Le avevi detto che quel camice verde era un’armatura fatata e che nessuna spada lo poteva trapassare.
Sara ti guardava attraverso lo schermo come un bimbo sogna il regalo di Natale.
Le avevi raccontato la favola della Sirenetta che non si stancava mai di ascoltare e lei si era addormentata col suono della tua voce, senza che la dovessi consolare.
Ero salita sul terrazzo. Mi ero sporta sul parapetto e da lì ero riuscita a scorgere il profilo del mare.
Mi era tornata in mente la sera in cui mi avevi portata sulla spiaggia. Che ci eravamo distesi alla fine della riva a guardare il cielo e fantasticare.
Che mi avevi detto che volevi diventare come il mare, aiutare gli altri ad avere un futuro in cui sperare.
Che avevi pensato a tante strade ma che quella era l’unica in cui non sentivi la fatica di camminare.
Io avevo fissato il tuo sguardo e pensato che non sarei mai riuscita a lasciarlo andare.
Ci eravamo baciati ai piedi della risacca, dispersi nel profumo e nel rumore del mare.
Il tuo fiato lieve sulle mie orecchie.
Il brivido quando le tue labbra scivolavano sul mio collo.
È questo che mi manca di più.
E poi il cielo buio dietro il tuo profilo, la luna tra i riccioli dei tuoi capelli, la gobba del tuo naso che scostava le stelle.
È questo che mi manca di più.
Perché non ho avuto il tempo di dirgli addio.
Sono passati tre giorni dall’ultima telefonata e Sara è sempre lì ad aspettare.
Mi ha chiesto dei tuoi occhi scavati, delle tue labbra tremanti e della tua fatica a respirare.
Stasera le ho detto che ti sei trasformato in un delfino, che ti sono spuntate le branchie e che non rischi più di soffocare. Che non puoi tornare perché ora appartieni al popolo del mare.
Sara è corsa in bagno, si è distesa nella vasca e si è messa a urlare: «È stato Re Tritone! Gli ha dato quel potere perché potesse sconfiggere la Strega e poterci salvare!»
Ha chiuso gli occhi, ha agitato le gambe e si è messa a sospirare: «Mi trasformerò in una sirena, così lo potrò rincontrare.»
L’ho presa in braccio e l’ho distesa nel suo letto. Le ho cantato una nenia per farla addormentare. Sono rimasta a guardarla, nel sonno ridere e sognare.
Sono nella nostra camera adesso.
Non riesco a piangere perché non mi hai dato il tempo di vederti partire, di fissare il tuo ultimo sguardo a cui aggrapparmi per lasciarti andare.
Ora verrà il tempo in cui dovrò trovare un altro futuro in cui sperare e so che senza di te farò una fatica enorme a camminare.
Mi sono rannicchiata sul tuo lato del letto.
Non mi ero mai accorta dell’impronta del tuo corpo sul materasso.
Sento il battito del tuo cuore se mi concentro.
Lo sai? Ho capito che è il battito del tuo cuore la cosa che mi manca di più.
Spero almeno che qualcuno, al posto mio, abbia avuto il tempo di dirgli addio.
I tuoi piedi nudi dentro al letto.
Il brivido, quando sfioravano i miei.
Il tuo respiro, le tue ciglia disordinate, tutti i tuoi nei.
È questo che mi manca di più.
E poi il tuo sorriso beffardo, la tua barba arruffata, le tue piccole nevrosi, la tenerezza quando mi chiedevi di fare la pace.
È questo che mi manca di più.
Perché non ho avuto il tempo di dirgli addio.
A Sara avevo spiegato che un principe deve dare il buon esempio. Che era arrivato l’esercito della Strega del mare e che tu eri il soldato migliore.
La tua voce al telefono all’inizio era sembrata normale.
Le avevi detto che quel camice verde era un’armatura fatata e che nessuna spada lo poteva trapassare.
Sara ti guardava attraverso lo schermo come un bimbo sogna il regalo di Natale.
Le avevi raccontato la favola della Sirenetta che non si stancava mai di ascoltare e lei si era addormentata col suono della tua voce, senza che la dovessi consolare.
Ero salita sul terrazzo. Mi ero sporta sul parapetto e da lì ero riuscita a scorgere il profilo del mare.
Mi era tornata in mente la sera in cui mi avevi portata sulla spiaggia. Che ci eravamo distesi alla fine della riva a guardare il cielo e fantasticare.
Che mi avevi detto che volevi diventare come il mare, aiutare gli altri ad avere un futuro in cui sperare.
Che avevi pensato a tante strade ma che quella era l’unica in cui non sentivi la fatica di camminare.
Io avevo fissato il tuo sguardo e pensato che non sarei mai riuscita a lasciarlo andare.
Ci eravamo baciati ai piedi della risacca, dispersi nel profumo e nel rumore del mare.
Il tuo fiato lieve sulle mie orecchie.
Il brivido quando le tue labbra scivolavano sul mio collo.
È questo che mi manca di più.
E poi il cielo buio dietro il tuo profilo, la luna tra i riccioli dei tuoi capelli, la gobba del tuo naso che scostava le stelle.
È questo che mi manca di più.
Perché non ho avuto il tempo di dirgli addio.
Sono passati tre giorni dall’ultima telefonata e Sara è sempre lì ad aspettare.
Mi ha chiesto dei tuoi occhi scavati, delle tue labbra tremanti e della tua fatica a respirare.
Stasera le ho detto che ti sei trasformato in un delfino, che ti sono spuntate le branchie e che non rischi più di soffocare. Che non puoi tornare perché ora appartieni al popolo del mare.
Sara è corsa in bagno, si è distesa nella vasca e si è messa a urlare: «È stato Re Tritone! Gli ha dato quel potere perché potesse sconfiggere la Strega e poterci salvare!»
Ha chiuso gli occhi, ha agitato le gambe e si è messa a sospirare: «Mi trasformerò in una sirena, così lo potrò rincontrare.»
L’ho presa in braccio e l’ho distesa nel suo letto. Le ho cantato una nenia per farla addormentare. Sono rimasta a guardarla, nel sonno ridere e sognare.
Sono nella nostra camera adesso.
Non riesco a piangere perché non mi hai dato il tempo di vederti partire, di fissare il tuo ultimo sguardo a cui aggrapparmi per lasciarti andare.
Ora verrà il tempo in cui dovrò trovare un altro futuro in cui sperare e so che senza di te farò una fatica enorme a camminare.
Mi sono rannicchiata sul tuo lato del letto.
Non mi ero mai accorta dell’impronta del tuo corpo sul materasso.
Sento il battito del tuo cuore se mi concentro.
Lo sai? Ho capito che è il battito del tuo cuore la cosa che mi manca di più.
Spero almeno che qualcuno, al posto mio, abbia avuto il tempo di dirgli addio.
Ha bisogno di un cuore nuovo.
Lo chiederà al mago di Oz.
L’uomo di latta.
Ha la testa lucida, non ha carne, è vuoto dentro.
E’ stata la strega cattiva dell’Est.
Per invidia del suo amore per la ragazza Manciucca.
Ma il mago di Oz gli darà un cuore nuovo.
Quando lo accompagnano a scuola, il padre rimane in macchina e lo saluta dal sedile davanti. Lui non si può stancare perché ha bisogno di un cuore nuovo.
A suo padre è successo come all’uomo di latta. L’ha raccontato sua madre.
Una notte, quando Mattia si è svegliato e l’ha trovata in piedi ad aspettare.
«E’ andato a chiedere un cuore nuovo» gli ha detto.
«Come l’uomo di latta.»
Era tornato con i vestiti sporchi di sabbia e con macchie rosse sui polsi e sui polpastrelli.
La moglie l’aveva disteso sul divano e l’aveva spogliato, mascherando il pianto con dei colpi di tosse.
Mattia era rimasto lì, immobile, sulla porta della cameretta.
Il padre era rimasto lì, immobile, sul divano, a fissarlo con occhi tersi di vuoto, rassegnati.
Forse aveva provato a volare.
A planare come i gabbiani sulle scogliere, dove andavano insieme a sfidare le onde del mare.
Il padre gli prendeva le braccia e le allargava nell’aria, in mezzo alla sabbia alzata dal vento.
Le scuotevano forte e fingevano di volare.
Insieme, lui e il padre, potevano planare tenendosi per mano, sulle prime luci della sera che si specchiavano sull’increspatura dell’acqua.
Tutto e niente, immensi, eterni, proiettati sul buio che s’incastra tra il cielo e il mare.
Insieme, potevano volare.
Ma poi a suo padre è successo come all’uomo di latta.
Gli è venuta la testa lucida, non ha più carne, è vuoto dentro.
Allora Mattia ha costruito un cuore nuovo, fatto di pezza, come ha fatto il mago di Oz, che l'ha riempito di garza, di chiodi e di lana e l’ha messo sul petto dell’uomo di latta.
L’ha trasformato in cuore di carne e l’uomo di latta è guarito.
Andrà bene, anche per il padre.
Con quel cuore nuovo, il padre tornerà a volare.
Tornerà a correre senza ansimare.
A salire le scale di corsa senza doversi fermare.
Ad abbracciarlo senza doversi commuovere.
Come quando gli ha regalato un ciondolo e un cane e gli ha fatto uno strano discorso sui ricordi, i rimpianti e il sapersi comportare.
Che la vita ha una fine e non è da sprecare.
Mattia non ha capito bene ma da quel giorno ci ha cominciato a pensare.
Serviva un’idea geniale.
Ha adocchiato un libro sullo scaffale e, all’improvviso, è arrivata.
L’idea.
Ha capito come fare.
Ha lavorato senza sosta, senza riposare.
Il cuore, la colla, lo spago e poi è stato tutto un giorno a provare, a ripassare i movimenti per non sbagliare.
Deve stare giusto al centro.
Non deve inclinarsi col movimento del torace, deve rimanere fermo, non può traballare.
Con tutto quel ripasso non ci sarà nulla da temere.
Anche se adesso lì, in quella stanza al piano terra dell’ospedale, ha una fottuta paura di sbagliare.
Gli tremano le gambe, ma non può fallire.
La madre è seduta lì accanto, ha uno sguardo contraffatto, un vestito sgualcito e il trucco slavato.
Gli ha detto che deve essere forte e che solo non lo farà mai sentire.
Si è asciugata le lacrime, poi gli ha dato un bacio e l’ha abbracciato.
Come ha fatto quella mattina, quando il telefono è squillato.
Quando ha chiamato di corsa la nonna, ha vestito il padre e si è trascinata appresso una valigia già pronta per andare.
Gli ha dato un bacio e l’ha abbracciato.
«Ha trovato un cuore nuovo. Presto tutto tornerà normale.»
L’ambulanza li aspettava al portone, sono salite due persone con fare trafelato.
Hanno disteso il padre su una barella e l’hanno portato via di fretta, senza dargli manco il tempo di salutare.
Il suo cuore di pezza però non l’hanno preso, l’hanno dimenticato.
«Lo sapranno anche loro come fare» ha detto Mattia alla nonna.
«Ma c’è bisogno di molta attenzione. Mettere un cuore nuovo è un lavoro delicato.»
Per tutto il giorno non è riuscito a darsi pace, di notte non è riuscito neanche a dormire.
La mattina dopo quel dannato telefono è di nuovo squillato.
La nonna ha buttato un urlo, si è chinata per terra e un po’ ha barcollato.
«Dov’è papà?»
La nonna si è rimessa in piedi, poi l’ha preso in braccio e l’ha coccolato.
«E’ andato in un posto lontano.»
Lo sapeva.
Avevano sbagliato.
L’operazione è delicata, mettere un cuore nuovo è un lavoro per esperti, non si può improvvisare.
Quei tipi avevano fallito, ma c’era ancora tempo per rimediare.
Mattia era corso in camera, aveva chiuso l’occorrente in una scatola e l’aveva serrata con un lucchetto argentato.
Adesso la tiene stretta lì, nella mano, in quella stanza al piano terra dell’ospedale, su una sedia di radica, accanto a signore con un fiore o una catenina nella mano, che gli appoggiano carezze calde sulla guancia e lo guardano con un volto strano.
Il padre adesso è lì.
In quella scatola di legno, su quel ripiano.
Sta dormendo, è pallido in volto, non è molto in forma, ma almeno è tornato.
Mattia è pronto, anche se adesso è tutto sudato.
Tra un po’ lo verranno a prendere, lo porteranno alla Città di Smeraldo, il mago di Oz saprà come fare.
Gli darà un bel cuore nuovo e Mattia è fiero di poterlo aiutare.
Lì, al centro di una gelida stanza dell’obitorio di un ospedale, Mattia sta per compiere un gesto immortale.
Apre la scatola col lucchetto argentato e l’appoggia lentamente sulla bara.
Poi estrae il cuore di pezza, la colla e lo spago.
La madre non ha la forza di fermarlo, rimane immobile a guardare.
Mattia spalma la colla sul cuore e lo preme sul petto del padre, lo avvolge con lo spago e fa un nodo doppio intorno al torace.
Fa le prove per evitare di farlo traballare.
E’ perfetto.
Non poteva fare meglio.
Il viaggio non lo potrà danneggiare.
Giusto in tempo, perché le guardie reali stanno per entrare.
Hanno giacche nere e lo sguardo imperscrutabile.
Lo porteranno alla Città di Smeraldo, il padre riceverà le cure e tutto tornerà normale.
Con quel cuore nuovo il padre tornerà a volare.
Tornerà a correre senza ansimare.
A salire le scale di corsa senza doversi fermare.
Meno male che ci ha pensato.
La soluzione era così banale.
Ormai è fatta.
Il mago di Oz.
Gli darà un bel cuore nuovo.
Come all’uomo di latta.
Lo chiederà al mago di Oz.
L’uomo di latta.
Ha la testa lucida, non ha carne, è vuoto dentro.
E’ stata la strega cattiva dell’Est.
Per invidia del suo amore per la ragazza Manciucca.
Ma il mago di Oz gli darà un cuore nuovo.
Quando lo accompagnano a scuola, il padre rimane in macchina e lo saluta dal sedile davanti. Lui non si può stancare perché ha bisogno di un cuore nuovo.
A suo padre è successo come all’uomo di latta. L’ha raccontato sua madre.
Una notte, quando Mattia si è svegliato e l’ha trovata in piedi ad aspettare.
«E’ andato a chiedere un cuore nuovo» gli ha detto.
«Come l’uomo di latta.»
Era tornato con i vestiti sporchi di sabbia e con macchie rosse sui polsi e sui polpastrelli.
La moglie l’aveva disteso sul divano e l’aveva spogliato, mascherando il pianto con dei colpi di tosse.
Mattia era rimasto lì, immobile, sulla porta della cameretta.
Il padre era rimasto lì, immobile, sul divano, a fissarlo con occhi tersi di vuoto, rassegnati.
Forse aveva provato a volare.
A planare come i gabbiani sulle scogliere, dove andavano insieme a sfidare le onde del mare.
Il padre gli prendeva le braccia e le allargava nell’aria, in mezzo alla sabbia alzata dal vento.
Le scuotevano forte e fingevano di volare.
Insieme, lui e il padre, potevano planare tenendosi per mano, sulle prime luci della sera che si specchiavano sull’increspatura dell’acqua.
Tutto e niente, immensi, eterni, proiettati sul buio che s’incastra tra il cielo e il mare.
Insieme, potevano volare.
Ma poi a suo padre è successo come all’uomo di latta.
Gli è venuta la testa lucida, non ha più carne, è vuoto dentro.
Allora Mattia ha costruito un cuore nuovo, fatto di pezza, come ha fatto il mago di Oz, che l'ha riempito di garza, di chiodi e di lana e l’ha messo sul petto dell’uomo di latta.
L’ha trasformato in cuore di carne e l’uomo di latta è guarito.
Andrà bene, anche per il padre.
Con quel cuore nuovo, il padre tornerà a volare.
Tornerà a correre senza ansimare.
A salire le scale di corsa senza doversi fermare.
Ad abbracciarlo senza doversi commuovere.
Come quando gli ha regalato un ciondolo e un cane e gli ha fatto uno strano discorso sui ricordi, i rimpianti e il sapersi comportare.
Che la vita ha una fine e non è da sprecare.
Mattia non ha capito bene ma da quel giorno ci ha cominciato a pensare.
Serviva un’idea geniale.
Ha adocchiato un libro sullo scaffale e, all’improvviso, è arrivata.
L’idea.
Ha capito come fare.
Ha lavorato senza sosta, senza riposare.
Il cuore, la colla, lo spago e poi è stato tutto un giorno a provare, a ripassare i movimenti per non sbagliare.
Deve stare giusto al centro.
Non deve inclinarsi col movimento del torace, deve rimanere fermo, non può traballare.
Con tutto quel ripasso non ci sarà nulla da temere.
Anche se adesso lì, in quella stanza al piano terra dell’ospedale, ha una fottuta paura di sbagliare.
Gli tremano le gambe, ma non può fallire.
La madre è seduta lì accanto, ha uno sguardo contraffatto, un vestito sgualcito e il trucco slavato.
Gli ha detto che deve essere forte e che solo non lo farà mai sentire.
Si è asciugata le lacrime, poi gli ha dato un bacio e l’ha abbracciato.
Come ha fatto quella mattina, quando il telefono è squillato.
Quando ha chiamato di corsa la nonna, ha vestito il padre e si è trascinata appresso una valigia già pronta per andare.
Gli ha dato un bacio e l’ha abbracciato.
«Ha trovato un cuore nuovo. Presto tutto tornerà normale.»
L’ambulanza li aspettava al portone, sono salite due persone con fare trafelato.
Hanno disteso il padre su una barella e l’hanno portato via di fretta, senza dargli manco il tempo di salutare.
Il suo cuore di pezza però non l’hanno preso, l’hanno dimenticato.
«Lo sapranno anche loro come fare» ha detto Mattia alla nonna.
«Ma c’è bisogno di molta attenzione. Mettere un cuore nuovo è un lavoro delicato.»
Per tutto il giorno non è riuscito a darsi pace, di notte non è riuscito neanche a dormire.
La mattina dopo quel dannato telefono è di nuovo squillato.
La nonna ha buttato un urlo, si è chinata per terra e un po’ ha barcollato.
«Dov’è papà?»
La nonna si è rimessa in piedi, poi l’ha preso in braccio e l’ha coccolato.
«E’ andato in un posto lontano.»
Lo sapeva.
Avevano sbagliato.
L’operazione è delicata, mettere un cuore nuovo è un lavoro per esperti, non si può improvvisare.
Quei tipi avevano fallito, ma c’era ancora tempo per rimediare.
Mattia era corso in camera, aveva chiuso l’occorrente in una scatola e l’aveva serrata con un lucchetto argentato.
Adesso la tiene stretta lì, nella mano, in quella stanza al piano terra dell’ospedale, su una sedia di radica, accanto a signore con un fiore o una catenina nella mano, che gli appoggiano carezze calde sulla guancia e lo guardano con un volto strano.
Il padre adesso è lì.
In quella scatola di legno, su quel ripiano.
Sta dormendo, è pallido in volto, non è molto in forma, ma almeno è tornato.
Mattia è pronto, anche se adesso è tutto sudato.
Tra un po’ lo verranno a prendere, lo porteranno alla Città di Smeraldo, il mago di Oz saprà come fare.
Gli darà un bel cuore nuovo e Mattia è fiero di poterlo aiutare.
Lì, al centro di una gelida stanza dell’obitorio di un ospedale, Mattia sta per compiere un gesto immortale.
Apre la scatola col lucchetto argentato e l’appoggia lentamente sulla bara.
Poi estrae il cuore di pezza, la colla e lo spago.
La madre non ha la forza di fermarlo, rimane immobile a guardare.
Mattia spalma la colla sul cuore e lo preme sul petto del padre, lo avvolge con lo spago e fa un nodo doppio intorno al torace.
Fa le prove per evitare di farlo traballare.
E’ perfetto.
Non poteva fare meglio.
Il viaggio non lo potrà danneggiare.
Giusto in tempo, perché le guardie reali stanno per entrare.
Hanno giacche nere e lo sguardo imperscrutabile.
Lo porteranno alla Città di Smeraldo, il padre riceverà le cure e tutto tornerà normale.
Con quel cuore nuovo il padre tornerà a volare.
Tornerà a correre senza ansimare.
A salire le scale di corsa senza doversi fermare.
Meno male che ci ha pensato.
La soluzione era così banale.
Ormai è fatta.
Il mago di Oz.
Gli darà un bel cuore nuovo.
Come all’uomo di latta.